Dalla vergogna dei giorni scorsi (non penso alla fiducia confermata al governo Berlusconi ma al modo in cui gli è stata garantita) si sarebbe potuto trarre insegnamento per parole e azioni adeguate, più umili nel riconoscimento dei propri errori, più sobrie nell’indicare una nuova strategia politica. Non è andata così. All’acquisto in contanti di parlamentari della Repubblica non è corrisposta una sola parola di preoccupazione dal presidente Napolitano. Il suk di Montecitorio, definito uno spettacolo indecente nei commenti politici di tutti i paesi, dai silenzi del Quirinale è stato salutato come l’esercizio di autonome e sovrane prerogative del parlamento. Quale sovranità e soprattutto quale autonomia vi sia nelle parole di Scilipoti e di Calearo, a noi comuni mortali continua a sfuggire.
Intanto l’opposizione si riorganizza. I pronunciamenti del segretario del Pd sono stati chiari: archiviamo le primarie e allarghiamo la coalizione al terzo polo, così forse un giorno avremo un voto in più di Berlusconi. A prescindere dal fatto che le primarie non sono nella disponibilità di nessuno, nemmeno di Bersani, convinto di poterle concedere o meno come faceva Carlo Alberto con lo Statuto, resta imbarazzante la perseveranza con cui il PD continua a proporre matrimoni politici a Fini e a Casini. Lo scrivo senza spirito di polemica, perché nel mio imbarazzo non c’è alcun pregiudizio. Solo un giudizio. Meglio, una domanda: ci si allea per far che?
Anche gli scolari hanno compreso che il problema non sarà semplicemente sconfiggere ai punti Berlusconi ma costruire nel paese una via d’uscita dal berlusconismo. Che in questi anni non è stata solo una mortificazione delle regole e dell’etica pubblica, un debordare del privato nel pubblico, un’assenza di pudore e di verità. E’ stato soprattutto altro. Per esempio l’apparire all’orizzonte d’un progetto politico e culturale che proclama, in nome dei mercati e della competizione, la fine dei diritti. Le parole di Marchionne non sono state un incidente di percorso e Pomigliano è la prova d’orchestra di una riscrittura spietata dei rapporti tra capitale e lavoro. Che si può raccontare, ci si perdoni la semplificazione, in una battuta: meno diritti a chi lavora, meno doveri per chi produce. Non a caso questo governo ha proposto la rottamazione dello statuto dei lavoratori e l’archiviazione di fatto dell’art.41 della Costituzione, quello che parla dei “fini sociali” dell’impresa. Che oggi rivendica invece la propria incondizionata libertà: di fare e disfare i contratti, di piantare e spiantare i propri stabilimenti sul territorio nazionale, di accettare o rifiutare la contrattazione collettiva.
Bene: cos’hanno in comune sulla valutazione etica del mercato, sui limiti da attribuirgli e sulle tutele inemendabili da riconoscere al lavoro subordinato, cosa condividono su questo terreno con il partito di Fini (che ha fatto del liberismo il proprio manifesto culturale una settimana fa) non dico la sinistra italiana ma il cauto riformismo del PD? E le centinaia di migliaia di giovanotti e professori precari che si sono arrampicati sul tetti delle loro università per guardare in faccia il paese e per mostrare la povertà delle loro “gru”, quei palazzi del cosiddetto sapere spogliati di ogni funzione, di ogni risorsa, di ogni futuro: che cosa gli diciamo, che stiamo con loro ma anche con la Gelmini? Come fai ad arrampicati allegro e sfacciato in cima ai tetti per portar loro solidarietà se poi decidi che alle elezioni bisogna andare assieme al partito di Fini che una settimana fa ha votato a favore della riforma universitaria?
E allora torniamo al nostro quesito: ci si allea con Fini, cioè con una proposta politica orgogliosamente e lucidamente di destra, per far cosa? Governare questo paese, disincagliarlo dai falsi miti del berlusconismo, redimerne il senso comune sempre più involgarito non si ottiene limitandosi a riscrivere insieme le regole. Perché dopo e dietro le regole viene la politica. E a quelli come Scilipoti, che si vendono la faccia per un tozzo di pane, non devi opporre anatemi ma il coraggio della verità: tu da che parte stai? Con Marchionne, con la Gelmini, con Fini? O con i lavoratori, gli studenti, i precari, i cittadini illividiti dai teatrini della politica? Prima rispondiamo a questa domanda, poi decidiamo chi sta con chi.
Claudio Fava
Fonte: L'Unità
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