C'è un solo voto utile, quello che sconfigge sia la copia che l'originale della politica degradata a comunicazione
di Michele Prospero*
E’ proprio vero: quello che un tempo è stata un tragedia tende a ripresentarsi solo qualche anno dopo come una farsa. Il fatto è che Veltroni somiglia sempre più al Berlusconi prima maniera. C’è molto in comune tra il leader del Pd e il cavaliere ridens che nel 1994 ruppe tutti gli schemi della vecchia politica gettando sul piatto la magia dei sondaggi e vendendo sogni a buon mercato di nuovi miracoli italiani. Non c’è incontro al quale Veltroni non si presenti con la pretesa soverchiante forza argomentativa dei sondaggi. Persino gli scommettitori inglesi sono stati portati come inconfutabile prova della ascesa prepotente del Pd. E il nuovo miracolo italiano, la promessa di un fragoroso boom economico è stata frugata dalle tasche del cavaliere e immessa nel cuore della “bella politica”. Berlusconi parla poco in questa campagna elettorale anche perché in cuor suo spera che tra la copia (i colori, i simboli di Pd e Pdl si confondono, le scenografia sono le stesse con ragazze-hostess impiegate come cornice del capo che parla, anche i riti collettivi culminano in sguaiate note di Mameli. A proposito: lo sanno nel Pd dei teodem che Mameli partecipò alla demoniaca repubblica romana e scrisse versi contro il papa tiranno che finalmente andava via?) e l’originale gli elettori sappiano alla fine distinguere.
Il Veltroni grossolanamente dialettico-hegeliano (che ha spezzato la logica formale del povero matematico Oddifreddi, costretto a sbattere la porta al Pd), il Veltroni del “ma anche”, è la versione aggiornata del Berlusconi ossimoro ambulante che si presentava come “Presidente operaio”, imprenditore, muratore, coltivatore, donnino di casa, commerciante, sportivo. I contenuti per loro non contano molto. Anzi i numeri sono indizi di una vecchia politica. Il principio di realtà sfuma in un culto maniacale dell’immagine. In una politica ridotta a effetto annuncio di cose improbabili e di candidature miracolistiche importa solo la carica evocativa e suggestiva di un messaggio ipersemplificato e generico. E tutti e due i leaders giocano sullo stesso pedale: meno tasse. Come trovare i fondi per le politiche pubbliche cui nessuno dichiara di rinunciare è un dettaglio secondario. Promesse a buon mercato e in più generali e prefetti nelle liste per dare una spruzzata di ordine e sicurezza, ricette sbrigative che non guastano mai in una politica degradata.
E’ chiaro che la politica con queste pratiche manipolatorie subisce una caduta culturale catastrofica. Ma non si creda che la politica sub specie comunicazione sia solo una immagine vuota, senza contenuti. No, questa politica dell’immagine ha invece pesanti contenuti materiali: essa purtroppo segna il trionfo definitivo delle potenze materiali del mercato, della finanza e dell’impresa. Pd e Pdl sono di fatto due gruppi di potere economico che sono in lotta e però condividono la visione di una politica come docile arma dell’economia. La trama degli interessi che sta dietro il Pdl è fin troppo nota. Meno indagata è invece la straordinaria potenza economica e mediatica del Pd (è forse solo un caso che questo partito ormai senza idee in almeno 5 regioni sia incorso in pesanti inchieste della magistratura?). Per il Pd conta una corposa costituzione materiale che orienta le scelte, determina la leadership, suggerisce le alleanze, stabilisce chi è opportuno invitare e chi non è gradito. E’ il gruppo di potere che vede la Repubblica l’Espresso, assieme appena un po’ più defilato alla Rizzoli Corriere della Sera, alla Stampa, le grandi banche unicredit, intesa, le grandi aziende che hanno partecipato alla gran festa delle privatizzazioni (della telecom ad esempio). Il Pd conta inoltre dell’apporto di tg 1, tg 3 (su Ballarò danno ogni settimana imbarazzanti sondaggi che vedono un Veltroni in costante ascesa e una sinistra orami scomparsa al 5 per cento), della sette. C’è una morsa di ferro che intende imporre un sistema politico finalmente omologato, ridotto ad una sola variabile, quella del mercato e della precarietà come emblema del tempo moderno. Chi è fuori di questo possente circuito mercantile deve tacere. Per questo su Repubblica ci sono stati appelli a favore della Bonino, per recuperare nel Pd una qualche sensibilità per i diritti civili. La sinistra non ha certo una sensibilità inferiore a quella dei radicali per i nuovi diritti di libertà, ma a nessuno su Repubblica è venuto in mente di chiamarla in causa. La ragione di questa dimenticanza selettiva non è difficile da cogliere: mentre la Bonino condivide la flessibilità e il mercato come cifra assoluta del moderno sistema economico, la sinistra non accetta questa prospettiva che tanto a cuore sta all’impresa e quindi deve essere subito condannata all’oblio.
C’è per questo oggi un solo voto utile. Capace di sconfiggere sia la copia sia l’originale della politica degradata a comunicazione. Ed è un voto che riscopra la politica come gusto della parzialità, del conflitto attorno ai fini. E’ certo un’impresa titanica scalfire l’opprimente pensiero unico veltroniano e berlusconiano che i media impongono all’unisono come la grammatica indiscutibile dei tempi nuovi. Ma questa è la più importante posta in gioco: la sopravvivenza di una sinistra forte e per questo capace anche di innovare la sua cultura. Se i segni dei tempi nuovi sono le grandi imprese editoriali al posto di comando, occorre scagliarsi contro il nuovo. Se il nuovo è un capo che elegge i deputati e impone ai partiti storici di sciogliersi è più saggio essere vecchi. Se il nuovo è il grande capitale che detta l’agenda ai partiti personali, meglio starne fuori. Il voto utile oggi è solo quello che dà rappresentanza a una politica da ricostruire come cultura e come critica dell’abbraccio mortale tra governo, media e denaro.
*docente di filosofia della politica e componente del Comitato promotore di Sd
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