Il lavoro è la leva dello sviluppo della persona, la chiave di accesso alla cittadinanza, l’espressione più reticolare della democrazia. Una cittadinanza senza lavoro è priva sia di reddito che di partecipazione alla produzione della ricchezza nazionale. Non si esce dalla crisi, non si rimette in moto un grande paese come l’Italia senza conversione ecologica dell’economia, senza investimenti in istruzione e ricerca, senza innovazione e cambiamento del modello di specializzazione, senza qualità del lavoro. Servono 50 miliardi di euro da investire per creare nuova occupazione. In questi anni invece si è imboccata la strada contraria, verso l’ambiente come verso il lavoro, riducendo diritti sociali, occupazione, in particolar modo giovanile e femminile, retribuzioni. La precarietà permea ormai di sé un intero ordine sociale e investe tutta una generazione. Soprattutto le giovani donne su cui agisce una doppia esclusione: generazionale e di genere. La disoccupazione giovanile è pari al 37% della popolazione e al sud arriva fino al 50%. Noi proponiamo un Piano Verde per il lavoro
che crei occupazione buona e qualificata, con investimenti pubblici capaci di stimolare quelli privati per la messa in sicurezza del territorio, delle scuole, per l’efficientamento energetico degli immobili, per la cura del nostro paesaggio e la riqualificazione urbana delle città. Una grande campagna per la difesa del suolo, la prevenzione del rischio sismico, il mitigamento delle conseguenze dei cambiamenti climatici: sono questioni vitali attraverso sui passa una revisione strategica e innovativa del concetto delle vere “grandi opere” che servono all’ammodernamento del nostro paese. Quaranta miliardi di euro nei prossimi dieci anni consentiranno di rimettere in sesto il nostro bene comune più prezioso: il territorio in cui viviamo. E al contempo questi interventi innescheranno la creazione di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro, specie per i giovani, in ogni parte d’Italia. Un’altra “grande opera” che proponiamo è la “costruzione” di città sostenibili, per interrompere il devastante ciclo di espansione edilizia e di consumo del suolo (ben 70 ettari al giorno negli ultimi dieci anni), investendo viceversa sulla città come bene comune, città nelle quali sostenibilità sociale e sostenibilità ambientali diventino inscindibili. Passa per questa via quel nuovo modello urbano in grado di far crescere l’albero delle nuove professioni verdi (i bio-architetti, gli esperti di mobilità sostenibile, di riqualificazione energetica, di recupero dei centri storici) e dei nuovi stili di vita (dagli orti urbani ai trasporti “dolci”, dagli spazi a misura dei bambini ai luoghi animal-friendly).
Oggi l’85% delle assunzioni avviene con contratti precari. Il supermercato delle forme di assunzione ha peggiorato la vita delle persone, ha abbassato la produttività delle imprese, allontanato gli investimenti in formazione e innovazione. Noi proponiamo dicombattere la precarietà nell’ingresso al lavoro, riducendo alle necessità vere, delle persone e dei processi produttivi, le tipologie di contratti possibili. Chi fa un lavoro stabile deve avere un contratto stabile, chi fa un lavoro subordinato deve avere un contratto subordinato e chi fa lo stesso lavoro deve avere la stessa retribuzione oraria. Va combattuto radicalmente il lavoro nero, forma assoluta di precarietà, anche attraverso il ripristino degli indici di congruità, rivelatori dell’esistenza di occupazione in nero.
Si stima (dati Istat) che l’economia sommersa valga 275 miliardi di euro, cioè il 17,5% dell’intera ricchezza (Pil) prodotta dal paese. I lavoratori irregolari sono stimati nell’ordine di 2,5 milioni. Noi proponiamo di combattere la precarietà durante il lavoroattraverso l’abrogazione della norma (articolo 8 della Legge 138 del luglio 2011) che consente la deroga ai contratti sulla base di accordi locali e determina quindi lo svuotamento del contratto nazionale e dello Statuto dei Lavoratori; il ripristino dell’articolo 18 (sui licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo) e la sua estensione alle aziende al di sotto dei quindici dipendenti; una legge efficace contro le dimissioni in bianco e l’estensione dei diritti fondamentali a tutti i rapporti di lavoro, dal diritto di voto, a quello di sciopero, alla malattia; una legge quadro per la democrazia sindacale, per il diritto di voto delle persone sugli accordi sindacali e la legge sulla rappresentanza sindacale per il diritto di ciascun lavoratore di eleggere propri rappresentanti. Ai lavoratori indipendenti con partite Iva va favorito l’accesso al credito e ai finanziamenti per progetti d’impresa con agevolazioni fiscali ad hoc.
Chi oggi perde il lavoro, sia temporaneamente che in via definitiva, viene tutelato diversamente a seconda dei settori produttivi in cui lavora e del tipo di contratto di lavoro. Questa diseguaglianza non solo non è stata risolta con i provvedimenti assunti dal ministro Fornero ma anzi essi hanno creato una nuova situazione drammatica per le persone che, espulse dai processi produttivi, non hanno ancora raggiunto l’età della pensione. Migliaia di donne e uomini senza reddito alcuno dopo una vita spesa lavorando, definiti con lo sgradevole termine di “esodati”. Noi proponiamo di combattere la precarietà quando si esce dal lavoro, attraverso l’estensione in senso universale degli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie dei rapporti di lavoro e di affrontare in modo strutturale il problema degli esodati applicando loro le condizioni previdenziali esistenti al momento dell’uscita dal lavoro.
Il lavoro precario determina, insieme alle strutturali carenze del nostro sistema di welfare, forme di vera e propria precarietà esistenziale che finisce per lasciare da sole le persone e addossare alle donne l’intero peso dell’assenza di servizi sociali adeguati. Il sistema diwelfare italiano, in parte lavoristico (dove i diritti sono riconosciuti in base al lavoro svolto e finanziati attraverso il versamento di contributi da parte di lavoratori e di imprese) e in parte universalistico (dove i diritti riguardanti la sanità, l’istruzione, l’assistenza vengono finanziati dalla fiscalità generale) manifesta una struttura ormai inadeguata nel rispondere alle nuove domande, alle nuove e crescenti diseguaglianze e povertà, all’esclusione dei giovani, all’invecchiamento delle persone. Noi proponiamo di investire sullo stato sociale: esso prima di tutto non è un costo, bensì una condizione essenziale allo sviluppo e alla coesione sociale. Per consentire alle ragazze e ai ragazzi l’autonomia e la libertà di sottrarsi al ricatto della precarietà proponiamo il reddito minimo garantito di 600 euro. Per garantire un futuro previdenziale ai giovani, oggi negato, proponiamo una riforma del sistema previdenziale che rivaluti le pensioni; che definisca età pensionabili differenti a seconda dei differenti lavori; che riconosca contributi figurativi per la cura dei figli e l’assistenza alle persone.
L’aumento dell’occupazione femminile è in grado di determinare un aumento del PIL fino al 7%, come sostiene la Banca d’Italia. Occorre per questo investire in infrastrutture sociali come gli asili nido, istituire congedi di paternità obbligatori di due settimane, dare sostegno fiscale alle imprese che aiutano la condivisione delle responsabilità familiari tra donne e uomini per mezzo della flessibilità degli orari di lavoro, fornire incentivi all’occupazione delle donne ed estendere l’indennità di maternità obbligatoria. Perché uscire dalla crisi e da questa lunga stagione recessiva dell’economia è possibile prima di tutto con il lavoro delle donne.
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