Rileggere dopo molti anni il Discorso sopra il costume presente degli italiani di Giacomo Leopardi che è del 1824, quando massima era la depressione nella penisola ed era difficile parlare, con qualche attendibilità, di un processo risorgimentale per l'unità nazionale che doveva ancora affiorare nella coscienza nazionale, mi ricorda un seminario che tenni negli anni Ottanta nella mia università di allora, quella di Torino, cercando di far capire ai miei studenti una lingua che era già difficile per quelle generazioni ma suscitando un notevole interesse in loro e molte discussioni dopo che leggemmo insieme il saggio leopardiano e ci trovammo a far confronti e comparazioni con i tempi che vivevamo allora.
Ma fare questi confronti oggi, che l'editore Bollati Boringhieri ripropone il libro aggiungendovi un lunghissimo saggio storico-letterario di Franco Cordero, che per l'editore riproduce I pensieri di un italiano d'oggi (Torino, 2011, pp.278, 15 euro) è per molti aspetti ancora più eloquente e significativo.
Leopardi, nel suo saggio del 1824, aveva detto alcune cose che mi sembra difficile contestare o mettere in discussione, perché risaltano con grande chiarezza dalla nostra storia e che quindi vale la pena di ricordare prima di parlare più a lungo di quelli che, secondo Cordero, sono - per usare un eufemismo - «gli ultimi due secoli della malata».
«Gli italiani - scrive Leopardi - ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza, che non fa niun'altra nazione.... Le classi superiori d'Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci».
E ancora aggiunge che «egli è certo che dopo la distruzione o indebolimento dei principii morali fondati sulla persuasione,distruzione causata dal progresso e diffusione dei lumi, si verifica una cosa che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni altro tempo; che cioè nel mondo civile le nazioni, le principali città, le classi, gli individui più colti, più politi, sociali,esperimentati nel mondo, istruiti e insomma più civili, sono eziandio i meno scostumati e immorali nella condotta, e in parte ancora nei principii, cioè in quei principi di morale che si fondano sopra discorsi e ragioni al tutto umane. Tutto ciò è esattamente nell'Italia in generale, non solamente quanto alle città e alla provincie,ma eziandio quanto agl'individui e quanto alle classi, almeno quanto almeno a quelle non laboriose, almeno a quelle non laboriose, paragonate tra loro. E forse in alcuni luoghi le classi civili si troveranno più morali, per esempio, di più buona fede, anche a quelle non laboriose, paragonate fra loro; tanto è la diffusione dei principi distruttivi della morale in Italia come altrove».
Le conseguenze di questo stato per Leopardi sono inevitabili: «Non ci meraviglieremo punto che gli italiani, la più vivace delle nazioni colte e la più sensibile e calda per natura, sia ora per assuefazione e per carattere acquisito la più morta, la più fredda, la più filosofa in pratica, la più circospetta, indifferente, insensibile, la più difficile ad essere mossa da cose illusorie, e molto meno governata dall'immaginazione neanche per un momento, la più ragionatrice nell'operare e nella condotta, la più priva affatto di immaginazione, di opere sentimentali e di romanzi e la più insensibile all'effetto di questi tali opere e generi (o proprie o straniere)».
Le conclusioni che Leopardi trae dall'esame dei costumi degli italiani sono chiare. Indica il cinismo e l'ipocrisia delle classi colte, come del popolo, i caratteri costitutivi di quella nazione e attribuisce alla mancanza di una «società stretta» la ragione di un simile stato, la condizione che genera nella nostra nazione un comportamento di cui parlerà successivamente nel suo Zibaldone come dei costumi prevalente nella nostra popolazione.
Peccato che, come osserva Cordero, nel suo lungo saggio che forma la seconda assai più lunga parte del libro, simili caratteri nei due secoli successivi non si sono modificati, anzi per molti aspetti si sono ulteriormente aggravati.
Cordero rievoca nelle sue pagine, ricche di riferimenti alle vicende che hanno caratterizzato la storia dei due secoli che conducono fino ai giorni nostri, le ragioni della precisazione che ne segue.
L'autore è convinto che le classi dirigenti italiane abbiano combattuto molto poco quei caratteri costitutivi dei nostri costumi che già indicava il grande poeta di Recanati e che cinismo, furberia, ipocrisia, assenza di una coscienza civile abbiano attraversato il periodo liberale, quello fascista e tutto quello repubblicano senza sostanziali progressi.
Di qui la situazione attuale che vede il nostro paese precipitato nel baratro dei populismi imperanti e diffusi non soltanto nella religione ufficiale del berlusconismo al potere ma in parte anche nella parte del paese che combatte l'attuale governo e vorrebbe un nuovo e diverso governo. Gli esempi che fa Cordero sono numerosi ed eloquenti e spaziano dalle vicende note ai retroscena che hanno caratterizzato gli esperimenti di potere dell'intero periodo repubblicano.
C'è da chiedersi fino a che punto si tratti di una diagnosi incontestabile e quali siano i fondamenti per superare la crisi attuale. Ma il libro si ferma prima, a illuminare e precisare la crisi più che a indicare rimedi possibili.
Nicola Tranfaglia - "il manifesto" 01/04/2011
Leopardi: "Discorso sopra lo stato lo presente dei costumi degl'Italiani" il testo completo
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