domenica 23 maggio 2010

Strage di Capaci: uccisi per lo Stato dallo Stato?


Video - Strage di Capaci - Immagini Rai e interviste

Video - Giovanni Falcone: "La mafia avrà una fine"

"E adesso chi lo dice a Falcone?" di Claudio Fava

Avevo solo 12 anni e ricordo che ero a casa dei miei nonni quando in tv, in edizione straordinaria, tutti i tg mandarono in onda le prime immagini di quell’atto di guerra fatta a Capaci. Un cratere enorme, macchine accartocciate dalla potenza dell’esplosivo, in cui persero la vita Francesca Morvillo, Antonino Mortinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Giovanni Falcone. Dopo otto anni ancora nessuna verità, ma molte novità emergono specie dalla Procura di Caltanissetta. Sempre più emerge uno stato che è Stato, e che probabilmente lo è ancora, è un giano bifronte. Da un lato pezzi dello Stato che hanno, attraverso la mafia, sferrato un attacco a chi nello Stato stava portando avanti la battaglia finale conto il sistema mafia/politica/imprenditoria. Battaglia finale iniziata con il maxi processo, il cui fine era proprio quello di svelare l’intreccio mafia/politica. Un dato agghiacciante è quello che emerge dal primo attentato ricevuto dal Giudice Falcone nel lontano 21 giugno 1989. A quanto pare da un lato i mafiosi con l’appoggio dei servizi segreti prepararono l’attentato e dall’altro lato un altro pezzo dello Stato, due sommozzatori, erano lì affinchè non succedesse nulla. Come scrive il giornalista Attilio Bolzoni su un suo articolo “Addaura, nuova verità sull'attentato a Falcone” pubblicato su “ Repubblica”: I due sommozzatori non erano di "appoggio" al primo gruppo: erano lì per evitare che la dinamite esplodesse. Non c'è certezza sull'identità dei due sommozzatori, ma un ragionevole sospetto sì: uno sarebbe stato Antonino Agostino, l'altro Emanuele Piazza. Entrambi uccisi negli anni successivi. Ma voglio citare anche il giornalista Francesco La Licata, il quale della stessa vicenda nel suo libro “Don Vito” afferma che: “Bisognava, dunque disinnescare Falcone. Ci provarono prima, con la delegittimazione, poi con le bombe… Era il giugno del 1989 quando tentarono di far saltare, con settantacinque candelotti di dinamite, la casa al mare del giudice, sulla scogliera dell’Addaura. L’attentato fu sventato, si disse per un colpo di fortuna: gli uomini della scorta, durante un’ispezione, trovarono il borsone con l’esplosivo. Questa le versione accreditata, per anni, anche a livello processuale. Una verità smentita in questi ultimi mesi, una verità negata da sorprendenti testimonianze venute alla luce a vent’anni dai fatti, che lascia trasparire una regia di strane presenze istituzionali nella ragnatela che andava stringendosi attorno Giovanni Falcone… C’è un filone di indagine che, addirittura, porterebbe a descrivere nell’attentato dell’Addaura una sorta di “guerra dei servizi” sviluppatasi nell’ombra. Una vera e propria spy story con i cattivi che tentano di far fuori Falconi e i buoni che intervengono per sventare l’attentato.” Davvero agghiacciante leggere e prendere consapevolezza di tutto ciò, anche se in questi anni i sospetti sono stati molteplici. Mentre ogni giorno il pool antimafia e le forze dell’ordine rischiavano la vita per colpire il sistema mafioso, c’era chi nello stato con la mafia cercava di bloccarli a tutti i costi anche al costo di eliminarli fisicamente. A 18 anni di distanza da quella Strage che scosse i cuori dei siciliani potremmo esser presi dallo sconforto e mollare tutto. Invece come ha detto in una nostra intervista il segretario di Rifondazione Comunista Ferrero, lo Stato è un terreno di conflitto e se è tale, diciamo noi, allora bisogna continuare a lottare; ognuno deve fare la sua parte dice Don Ciotti, affinchè la morte di ha lottato non sia vana e quindi la giustizia possa trionfare. Lo dobbiamo a Francesca, Antonio, Rocco, Vito e Giovanni, ma lo dobbiamo forse ancora di più a noi siciliani.

Giuseppe Crapisi

dal sito "Corleone Dialogos - Circolo ARCI - Presidio Libera"
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