venerdì 21 maggio 2010
Federalismo demaniale o federalismo demenziale?
Un commento al cosiddetto "federalismo demaniale", approvato dal centrodestra con il voto favorevole di Di Pietro e l'astensione del PD.
Dal federalismo demaniale al federalismo demenziale il passo è breve. Non è solo un gioco di parole. E’ stato compiuto per davvero. Il primo ad allungare la gamba è stato Di Pietro, e fin qui c’è poco da stupirsi. Basta ricordare la sua firma in calce al disegno di legge Lanzillotta sulle privatizzazioni dei servizi pubblici nella passata legislatura, oppure lo stesso quesito proposto sull’acqua per cui “pubblica o privata per me pari son”. Il guaio è che su questa china rischia di scivolare la gran parte dell’opposizione parlamentare. Bisognerebbe che almeno noi ci attrezzassimo a far resistenza.
Calderoli e Di Pietro ci hanno spiegato che fiumi, spiagge, strade, aeroporti, miniere, caserme, terreni e patrimonio artistico (ad eccezione del Quirinale, della Camera e del Senato e di poco altro) passeranno di proprietà , entro 180 giorni, dei comuni, oppure, se servirà una gestione unitaria, a quella delle provincie e delle regioni. Questi avranno l’obbligo di fare fruttare quei beni, altrimenti verranno commissariati dal governo. Potranno anche venderli a privati nei casi previsti dal codice civile, ma solo per abbattere il debito pubblico, quello locale e quello nazionale. Se però gli enti locali sono già in rosso non potranno avere niente.
In altre parole: lo Stato dismette il proprio patrimonio, cosa che fin qui si era solennemente detto di non volere fare (ricordo ai tempi del governo Prodi una solenne cerimonia in cui venne presentato il censimento informatico del patrimonio statale e si parlò del grande valore che questo aveva e che andava contabilizzato); lo fa tramite gli enti locali, comprese le provincie della cui abolizione non si parla quindi più; lo fa per coprire i buchi del debito, ovvero si svendono i gioielli di famiglia come si suol dire; però i comuni che stanno peggio saranno ulteriormente puniti. Il tutto, secondo il governo Calderoli-Di Pietro avverrebbe a costo zero. La più grande bugia che possa essere detta. Certo, al di là delle spese amministrative, non vi sarà forse sovraccarico immediato per il bilancio, ma la depauperazione del bene comune nazionale non vi pare un costo elevatissimo che dovranno pagare soprattutto le giovani e le prossime generazioni?
Si dice che così i beni sono più vicini al territorio. Altra bestialità. Sia perché non è affatto dimostrato che gli enti locali siano più solerti nella gestione dei beni, sia perché, come giustamente dice Aldo Bonomi (a sua volta attingendo addirittura a Heidegger) il territorio non va solo occupato o abitato, va pensato . Non è quindi la vicinanza fisica dell’ente locale al territorio che garantisce quest’ultimo, ma solo la qualità della politica che viene effettuata.
Inoltre un bene è comune non solo perché è pubblico, ma perché nella sua gestione, nella sua cura e nella sua fruizione sono chiamate in prima persona i cittadini. Quindi non basta di per sé la proprietà pubblica a mettere al sicuro ciò che chiamiamo un bene comune, ma il grado di partecipazione dei cittadini. Quest’ultima a sua volta non dipende dalla vicinanza fisica, ma dall’abbattimento di barriere politiche e istituzionali che ne impediscono il protagonismo popolare. Che questo sia meglio garantito dai comuni o dalle regioni dipende solo dalla politica che li governa e dagli atti concreti che compie.
D’altro canto pensare che il federalismo fiscale, del quale il federalismo demaniale è un’anticipazione pessima, non sarà a costo zero è pura follia. Quanto costi nessuno lo sa, e già questo dovrebbe essere oltremodo allarmante. Ma che non costi nulla non ci crede nessuno. Questo spiega il tipo di legge finanziaria che Tremonti sta confezionando. Lui è il massimo garante dell’accordo di governo con la Lega. Senza federalismo non c’è la Lega, senza Lega non c’è questo governo. Mi pare ovvio che l’astuto Tremonti con la prossima finanziaria voglia mettere fieno in cascina per trovare fondi da destinare ai decreti di attuazione della legge sul federalismo.
Naturalmente la cosa avverrà dicendo che è colpa dell’Europa. La quale peraltro ha ben precise responsabilità – vedi i trattati e il patto di stabilità – di antica e recente data. La stretta sui bilanci dei singoli stati come conseguenza della crisi e dell’intervento a sostegno della Grecia è già in atto e potrà essere codificata in futuro in una sorta di finanziaria europea.
Ma sarebbe un assist al governo scaricarlo delle proprie specifiche responsabilità e prendersela solo con l’Europa. Oppure, come fa Nicola Rossi, economista e senatore del Partito democratico, dire che dobbiamo votare la finanziaria di Tremonti perché sono i mercati e l’Europa che ce lo chiedono.
Invece di progettare la chiusura di due finestre di pensionamento basterebbe cancellare o quanto meno ritardare l’attuazione del federalismo fiscale, che i fondi per fare fronte alla conseguenza della crisi troverebbero già una prima risposta. L’altra, quella più consistente, sta nella lotta all’evasione fiscale e nella riforma del nostro sistema, cioè nella tassazione delle rendite finanziarie almeno al livello europeo, diminuendo contemporaneamente il prelievo fiscale sul lavoro.
Alfonso Gianni
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