martedì 14 ottobre 2008
E' finita la ritirata
È finita la ritirata
Intervento di Paolo Ferrero su Liberazione dell'11 ottobre 2008
Oggi siamo in piazza contro governo e Confindustria ed anche contro quelle interferenze Vaticane che mettono pesantemente in discussione la laicità dello stato.
Non è poco. Se il governo Berlusconi, populista e di destra, è una anomalia, lo scandalo maggiore consiste nell'assenza di una opposizione di sinistra. L'opposizione parlamentare uscita dalle urne del 13 aprile, afasica o gridata che sia, non è mai contro Confindustria; grida o sussurra contro Berlusconi ma non dice mai una parola contro i padroni. Per questo è una opposizione subalterna, non in grado di prospettare l'alternativa, una uscita da sinistra dalla crisi economica e sociale in cui siamo immersi.
Siamo quindi in piazza per costruire una opposizione di sinistra dopo la sconfitta elettorale di aprile. E' finita la ritirata, la fase dei congressi e delle battaglie intestine, comincia la fase della costruzione, del lavoro politico di massa. Dopo le mobilitazioni studentesche, questa manifestazione è un primo momento, necessario ma non sufficiente. Lo sciopero generale del sindacalismo di base del 17, lo sciopero generale della scuola del 30, saranno altrettanti momenti topici di questa mobilitazione; auspichiamo e ci adoperiamo affinché la positiva rottura praticata dalla Cgil contro i tentativi di distruzione del contratto nazionale di lavoro, evolva nella convocazione di uno sciopero generale, quanto mai necessario per ridare voce ai lavoratori.
Finisce la ritirata e comincia in una fase nuova. La crisi finanziaria che è la crisi del liberismo, cioè del volto odierno del capitalismo, cambia radicalmente il terreno su cui si svolge lo scontro politico.
Ci presenta un fallimento, quello del capitalismo, che negli ultimi 20 anni ha avuto mano libera a livello planetario. Il risultato di questo dominio sono le guerre, la crisi alimentare, il peggioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, il riaffacciarsi barbarico del razzismo e della caccia al diverso.
Il liberismo, si è basato su un regime di bassi salari e ha prodotto una dilagante insicurezza sociale; la sua crisi accentua questa insicurezza. Sino ad ora la paura è stata gestita da destra, con una produzione scientifica di capri espiatori da additare, in una logica amico-nemico, come i responsabili del disagio e della paura. La destra fa scelte politiche che alimentano la precarietà e l'insicurezza sociale e indirizza le paure che ne derivano contro il diverso: l'immigrato, lo zingaro, l'omosessuale. Il razzismo, il sessismo, l'intolleranza non sono accessori secondari di questo capitalismo ma costituiscono l'elemento rassicurante, conservatore, tradizionale in cui rifugiarsi in questo mondo insicuro. La globalizzazione liberista è stata una gigantesca rivoluzione conservatrice tesa a soppiantare il conflitto di classe con la guerra tra i poveri.
La crisi del liberismo può essere usata per accentuare questa deriva oppure per ricostruire il conflitto di classe, un conflitto del basso verso l'alto. Del resto, dalla crisi del '29 non si uscì al centro ma a destra con il nazismo e il fascismo o a sinistra, con il New deal. Oggi la nostra scommessa politica è quella di dare una risposta di sinistra all'insicurezza sociale e alla riduzione delle risorse disponibili, in termini di democrazia, eguaglianza, libertà. Il governo prova a gestire la crisi facendola pagare ai lavoratori e ai pensionati, riducendo gli spazi di democrazia. Il governo vuol salvare le banche ma non i bilanci dei lavoratori, dei pensionati, delle famiglie. Il governo punta ad una gestione autoritaria della frantumazione sociale e della guerra tra i poveri. Noi dobbiamo puntare alla costruzione di un conflitto verticale, del basso contro l'alto che imponga un intervento pubblico che ridistribuisca risorse, ridisegni i poteri e cambi radicalmente il modello sociale.
Questa è la partita che è cominciata. Dalla crisi si esce da destra o da sinistra. Con buona pace del Partito Democratico, dal centro non si può uscire; l'idea di rivitalizzare e correggere il liberismo non è solo sbagliata; è patetica.
La manifestazione di oggi riprende quindi il cammino di Genova; riprende l'ispirazione di quel movimento contro la globalizzazione liberista che aveva individuato con chiarezza l'aspetto distruttivo e regressivo del liberismo. Mentre in America Latina il movimento no global ha vinto, in Europa e segnatamente in Italia ha perso. Ripartiamo da questa sconfitta, nella nuova situazione aperta dalla crisi del liberismo. Ripartiamo provando a non ripetere gli errori fatti negli anni scorsi.
In primo luogo ripartiamo quindi dall'opposizione. Occorre dare continuità alla manifestazione di oggi. Propongo di dar vita ad un coordinamento delle forze politiche, sociali e culturali disponibili a lavorare per la costruzione dell'opposizione di sinistra. Un coordinamento nazionale e sui territori, che unisca la sinistra sul fare.
In secondo luogo occorre evitare che la battaglia di opposizione venga riassunta in un orizzonte propagandistico o testimoniale. Per questo occorre ridislocare il lavoro politico nella società, nell'affiancamento delle lotte già in essere - pensiamo solo alla lotta per la scuola pubblica - nella costruzione di vertenze concrete che tocchino le condizioni di vita delle persone, nella costruzione di una rete di mutualismo contro il caro vita.
In terzo luogo occorre ricollocare il nostro lavoro politico in un orizzonte europeo. Di fronte alla crisi finanziaria occorre mettere in discussione con rinnovato vigore le politiche della Commissione, l'impianto costituzionale europeo, il suo fondamento liberista e lo strapotere della Banca Centrale sottratta a qualsivoglia controllo democratico. Questa scelta passa dalla lotta contro l'Europa dei padroni per la costruzione di un Europa dei lavoratori e dei popoli.
La crisi ci pone anche una sfida più generale. La crisi dimostra come il capitalismo non sia in grado di assicurare il benessere dei popoli e del pianeta. Dopo 20 anni in cui i padroni del mondo hanno fatto quello che volevano ci consegnano una realtà di guerre, crisi economica, crisi alimentare, distruzione dell'ambiente, imbarbarimento della vita sociale.
La crisi del capitale ci ripropone l'attualità del comunismo. Proprio perché il capitalismo per riprodursi accentua gerarchie sociali, sfruttamento e barbarie - razzismo, sessismo, patriarcato, intolleranza - la lotta per il comunismo non è una lotta per aggiungere ai diritti sociali una spruzzata di diritti civili; non è una battaglia redistributiva a cui aggiungere un po' di buonismo. La lotta per il comunismo è lotta per la liberazione degli uomini e delle donne, contro lo sfruttamento, la mercificazione dei rapporti sociali e della natura, contro il pregiudizio escludente.
Proviamo a far vivere nel paese, da domani, questa prospettiva. E' finita la ritirata.
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