Si è svolta a Roma la prima assemblea del Movimento romano per la Sinistra, a un mese di distanza dalla Assemblea convocata a Firenze dalla Associazione per una Sinistra unita e plurale. Si è svolta alla presenza dei rappresentanti più importanti della sinistra politica e dell’associazionismo, presso l’associazione culturale Baobab, un coloratissimo locale tra Piazzale delle Province e Via Tiburtina. La folla di militanti e il nutrito gruppo di giornalisti riempiono tutti gli spazi dell’ampio locale in attesa di sentire i promotori dell’incontro e i big presenti, da Nichi Vendola a Claudio Fava, da Paul Ginsborg a Maurizio Acerbo e Paolo Cento.
La platea è attenta alle parole pronunciate dal palco, è carica, non risparmia qualche critica e qualche “battutaccia” nei confronti dei leader, sommerge di applausi l’intervento di Paul Ginsborg, ma si scalda moltissimo anche per Don Roberto Sardelli.
Quello che è emerso dagli interventi più rilevanti, a un mese dalla riunione di Firenze e dalla sconfitta elettorale, è la mancanza di novità nelle forme, nei contenuti, nei linguaggi; nonché nei metodi che presiedono all’organizzazione di questi eventi. L’urgenza di cambiare questa realtà ieri è stata ancora più evidente per l’assenza pressoché totale di under 30, un difetto che sta diventando strutturale e congenito a questo tipo di iniziative. Un dato ancor più grave se pensiamo all’importanza dell’incontro.
E questo non lo dice solo chi scrive, ma anche alcuni dei più insigni relatori.
Claudio Fava apre il suo intervento parlando degli ultimi fatti di cronaca – Ponticelli – e di cronaca politica – decreto sicurezza –. “L’Italia ha ricevuto fondi dall’Unione Europea per creare le condizioni per dare accoglienza e integrazione ai rom. Fondi che, tuttavia, non sono mai stati utilizzati. Il centrosinistra – Fava non si riferisce solo al governo nazionale, ma anche alle amministrazioni locali – non ha voluto usare quelle risorse perché considerava quelle problematiche marginali”. Critica Fassino che si è schierato contro le proteste del governo spagnolo di Zapatero sul decreto sicurezza, non rendendosi conto che la posizione spagnola era la posizione che avrebbe dovuto assumere il Pd. Definisce il suo incontro con Veltroni “un atto di cortesia personale e politica”, ma avverte: “abbiamo il dovere di indagare sulla possibilità di un centrosinistra diverso, e basato sulle affinità di progetti e di proposte".
Allo stesso tempo, però, "deve essere chiaro che se questa indagine non sarà possibile la responsabilità non sarà certo nostra”. Il coordinatore nazionale di Sd afferma che “bisogna ripartire da noi stessi per capire che c’è un problema della Sinistra. I conflitti sociali e le contraddizioni non possono essere affrontati per titoli, restando nei nostri recinti, mentre fuori il Paese cambia. L’infelicità è un tema complesso, che non abbiamo voluto affrontare”. Lamenta linguaggi vecchi: “Anche oggi non ho sentito la parola dubbio. E’ necessario modificare lo sguardo con cui decifriamo questo paese. Bisogna guardare prima alla comunità che alle sue forme, costruire una comunità di sinistra, mettersi in marcia e navigare in mare aperto. Non possiamo rimanere fermi e autosufficienti”.
Ad aprire il dibattito è stato Adriano Labbucci, esponente di Sinistra Democratica ed ex presidente del Consiglio provinciale di Roma: “Di fronte al tracollo della Sinistra Arcobaleno sarebbe sbagliata e velleitaria una risposta che veda il ritorno di ognuno nei propri accampamenti, alle proprie insegne e alle vecchie appartenenze, anche perchè quello che c'era prima, in larga parte, non c’è più. Evitiamo- sollecita Labbucci- di aggiungere al tracollo elettorale anche il nostro tracollo politico”. Serve insomma, per Labbucci, "un processo costituente della sinistra, che allarghi e che includa, che chiami a partecipare non soltanto quel milione e più che ha votato Sinistra Arcobaleno, ma anche tanti di quelli che non l’hanno votata. Ci sono ragioni, motivi e spazi per la Sinistra: la giustizia, la libertà, i diritti delle donne, i diritti dei lavoratori, le questioni etiche: sono questi gli spazi che la sinistra, con un progetto ambizioso, deve tornare ad occupare. Ma soprattutto – conclude Labbucci – bisogna reagire, dare segni di vitalità, riprendere a fare politica. Bisogna partire costruendo un profilo di opposizione qui a Roma”.
Ma è Don Roberto Sardelli a riscuotere i primi applausi, con un’analisi appassionata e lucida della situazione, lui che più di ogni altro si è battuto per i poveri, i diseredati e gli esclusi nella Capitale e che assiste ora allo scempio del decreto sicurezza del nuovo governo, non risparmiando critiche a Veltroni che, dice, da sindaco di Roma lo volle incontrare, ma che poi non fece niente di concreto e non diede alcun seguito a quell’incontro. “Per risolvere la crisi attuale della politica occorrono terapie d’urto che riescano a denotare una discontinuità chiara e tonda. Per questo le leadership politiche, oggi più che mai, devono essere scelte dal basso e non devono essere elargizioni delle segreterie di partito. L’essere di sinistra – conclude Don Sardelli – è a costruire perché parla all’intelligenza, laddove l’essere di destra è istintivo perché parla al ventre”.
Paul Ginsorg, con la pacatezza e l’ironia che lo contraddistinguono, è ancora più analitico. Richiama i militanti alla calma e alla lucidità, perché questo è ancora il momento degli interrogativi, non delle risposte. Con una provocazione efficace esorta i leader presenti ad essere all’altezza della sconfitta scioccante che abbiamo subito, perché rappresenta un’occasione irripetibile dalla quale ripartire in forme nuove, superando i vecchi modelli del Novecento. Se questo non verrà fatto, avverte, la Sinistra non riuscirà più a tornare in Parlamento. Plaude alle iniziative e agli incontri autoconvocati che si stanno moltiplicando in tutta Italia e pone a se stesso quattro interrogativi come tracce di riflessione da seguire per provare a ricostruire. “Finora, la prima reazione alla sconfitta è stata ampliare le divisioni: non credo che abbiamo perso perché miravamo a un processo unitario, anzi. Dobbiamo andare avanti sul cammino di un processo costituente e per farlo dobbiamo ripensare a come stare insieme, partendo da questioni di genere e di generazione, superando anche forme di riunione un po’ antiquate come quella di questa sera: bisogna essere più attivi e meno riflessivi, perché i giovani vogliono fare qualcosa, non ascoltare soltanto. Bisogna abbracciare nuove forme di democrazia: la democrazia deliberativa – che aumenta il grado di partecipazione attiva dei militanti alle decisioni –, la democrazia in movimento, sulla strada di riforme che partano dal basso”. E conclude con un’altra provocazione delle sue, citando proprio uno dei padri del liberalismo, John Stuart Mill: “Vogliamo cittadini attivi, critici, istruiti, pronti a intervenire”.
Nichi Vendola è in sintonia con Fava. Esorta a modificare i luoghi in cui la sinistra è cresciuta e vuole fare un discorso di metodo. Vorrebbe scrivere un saggio intitolato “Per la critica del verbo tornare”, che è impedimento alla rinascita della sinistra. “Si sente parlare di tornare alla base, tornare al territorio, tornare al lavoro: in queste espressioni vedo una pericolosa torsione demagogica, una distorsione dei problemi”.
L'invocazione del ritorno alla base, ad esempio, “ha un retrogusto oligarchico, soprattutto per chi per base intende un recinto ristretto: noi dobbiamo rompere il recinto che non ci consente di allargarci, altrimenti la base è come una curva sud che ognuno si porta dove vuole”. Ancora più “distorta”, per Vendola, l'espressione “Tornare al territorio: non può esistere un territorio mummia, il territorio vive e si trasforma.
E noi dobbiamo attraversarlo, non tornare a un territorio mitico.
Il verbo tornare, indica il rifugio in una nicchia identitaria, vista come un conto in banca da preservare, un bene da esibire dentro un ipotetico museo delle glorie del passato. Per me invece è altro, è ansia di conoscere e andare avanti”. E riguardo al nuovo ruolo della sinistra afferma: “siamo una minoranza, ma non vogliamo parlare come una minorità. Siamo una minoranza che vuole essere maggioranza e vogliamo far sentire a tutti la nostra voglia di cambiare il mondo”.
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