L'8 SETTEMBRE A MARMORE di Bruno Zenoni
Alle 17,30 del giorno 8 settembre 1943, mio fratello Aristeo che tornava in bicicletta dal lavoro alle Acciaierie di Terni mi disse: "Attorno ai monti della conca Ternana ci sono innumerevoli falò, come mai?".
Intuì subito che era stato firmato l'armistizio con le forze alleate; ciò non perché mi ritenessi un indovino bensì perché da molti giorni circolavano voci circa la firma dell' armistizio.
Avevo partecipato alle giornate del 25 luglio e nei 45 giorni del governo Badoglio noi antifascisti avevamo intensificato i contatti e le riunioni per trovarci preparati ad ogni evenienza.
Anch'io accesi un falò al centro dell'abitato di Marmore a pochi metri dal mio negozio di barbiere; si radunarono parecchie persone, alcuni antifascisti collaborarono a ravvivare il fuoco. Nel frattempo si cercava di spiegare il significato dell'iniziativa per orientare la gente sulla fine della guerra, dei bombardamenti, delle sofferenze.
Ma le cose, çome si sa, non filarono così lisce!
Mentre si parlava attorno al falò, un tenente di fanteria in servizio a Marmore - dove vi erano un centinaio di soldati di fanteria di presidio alle opere idrauliche delle centrali elettriche e delle Acciaierie e nel contempo addetti ai reparti fumo geni per celare gli impianti ai bombardamenti aerei - cercò di spegnere il fuoco disperdendone i tizzoni con i piedi.
Gli astanti cercarono di difendere il falò.
Intervenne il brigadiere dei carabinieri con un milite chiedendo il nome di colui che aveva acceso il fuoco. Il compagno Terenzi Tesildo, cercando di proteggermi, sapendomi perseguitato politico, si fece avanti e pronunciò il proprio nome addossandosene la responsabilità. Io però dissi la verità e cioè che avevo acceso io il fuoco!
Il brigadiere mi intimò di seguirlo in caserma e al mio rifiuto e alle mie grida rivendicanti la libertà mi afferrò per un braccio insieme ad un altro milite per arrestarmi e condurmi nella vicina caserma che distava circa 40 metri.
La folla si strinse attorno a me ed ai carabinieri ed urlava per ottenere la mia liberazione. Giunti sulla soglia della caserma, essendosi la folla fatta più pressante, i carabinieri scapparono abbandonando la preda, che in quel caso ero io, senza fare più ritorno a Marmore.
Per me non era altro che la continuità della lotta per la libertà, per la democrazia e per la pace iniziata 20 anni prima e per la quale avevo subito persecuzioni, carcere e confino. Infatti iniziò così la collaborazione per la lotta armata contro l'invasore nazifascista.
Successivamente feci parte della brigata garibaldina A.Gramsci, nel 1945 partì volontario con il gruppo di combattimento della divisione "Cremona", per contribuire alla liberazione del resto d'Italia. In seguito, quale pubblico amministratore, continuai a lavorare per la ricostruzione del paese e per il consolidamento della democrazia.
Nei vari incarichi pubblici, politici, cooperativistici, sindacali e ovunque operai continuò a sostenermi lo stesso spirito di libertà e democrazia con il quale avevo sì lungamente combattuto.
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