martedì 31 luglio 2012

Comunista a Marmore


Bruno Zenoni

Il 2 agosto 1931 si costituì a Marmore una cellula comunista, di essa facevamo parte: io (Bruno Zenoni), Olindo Fossatelli e Cervelli Carlo. Presenti alla riunione erano anche i compagni Ascani Natale, che non entrò a far parte della cellula perché in quei giorni si trasferiva ad abitare a Terni, e Pietro Ciani, mem­bro del comitato provinciale della Federazione provinciale. La riunione avvenne nella tenuta di Carlo Pasquetti, sull'argine del Velino, poco più in su dell'abbeveratoio. Filipponi Alfredo e Lello Pietro, del C[omitato] D[irettivo] Federale presiederono la riunione, [a]lla quale partecipavano altri sei compagni di Piedi­luco, con i quali si costituirono due cellule. Saturno Di Giuli, Bartolini Ernesto, Crisostomi Angelo, Amilcare Di Patrizi, Leopoldo Di Patrizi ed Enzo erano i com­pagni di Piediluco. 
Da circa due anni, tramite Olindo Fossatelli, Ciani mi teneva sotto controllo, cioè ero candidato del Partito. Nè ero nuovo tra i giovani antifascisti di Marmore, anche già nel 1924 durante l'inizio dei lavori per la costruzione della Centrale di Galleto, con Bramante, Amedeo, Guglielmo, Tesildo ed altri, avevamo preso contatto con i carpentieri Depretis e Sante: antifascisti che avevano dovuto abbandonare i loro paesi per sfuggire alle persecuzioni, e con loro erano continue conversazioni. I fascisti di Marmore ci avevano individuato e il giorno di Pasqua del 1925, mentre il gruppo citato cantava canzoni popolari, al passaggio a livello fu aggredito dai fascisti che, per la resistenza incontrata, dovettero desistere dal tentativo di di­sperderci. Il lunedì lo stesso gruppo, con l'aggiunta di Cresta Giovanni, andò in gita a Piediluco; la sera in segno di sfida si portò alla stazione ferroviaria, ove De Sisto dal suo ufficio di capostazione dirigeva le squadracce fasciste. I fascisti subirono, ma il martedì mattina come sempre vigliaccamente aggrediro­no Guglielmo, che si era recato alla stazione per prendere le valige del suo capo operaio Piccirillu, che tornava da Antrodo­co. Era la seconda volta che Guglielmo veniva percosso dai fascisti, la prima volta le prese nella cantina di Pietro Cresta, mentre unitamente a Giuseppe Fossatelli, Amedeo Cresta ed altri cantavano "Bandiera Rossa", a darle erano sempre i Castagnetti: Amedeo e Gettulio. Questi episodi, ai quali prima, ragazzo, assistevo indignato; poi, giovanetto, partecipavo attivamente, forgiavano in me una coscienza di giustizia e mi portavano a ricercare le cause di tanta prepotenza. Ricordavo bene l'incendio della sezione comunista di Marmore, della locale cooperativa di consumo e del negozio di falegname e barbiere di Pierino Valeri avvenuto ad opera della "Disperatissima" di Perugia il 20. 04. 1921. Quel giorno unitamente a Bramante avevamo visto ardere la coope­rativa di Papigno e il circolo socialista "La Concordia", poichè scolari della quinta elementare a Papigno, scappammo dalla scuola quando tra la scolaresca si generò il panico per aver appreso che i fascisti avevano incendiato Papigno. Di quella giornata non scorderò mai il quadro di mio cugino Guseppe Fossatelli offerto alla mia vista sanguinante in mezzo ad un gruppo di fascisti e la madre e la sorella appresso urlanti di terrore. I fascisti lo portarono a medicare nella Pubblica assi­stenza, che era nella casa ove adesso abita Orlando Conti, in quel momento entrò "Sardarellu" e Peppe gridò "Eccolo quel vigliacco, è stato lui che mi ha indicato a costoro". Ricordo come fosse oggi che aveva una ferita alla tempia e una alla co­scia che gli aveva fatto diventare rossi i bianchi pantaloni che indossava. Avevo allora 13 anni, parteggiavo già per i socialisti in quel clima infuocato dalle lotte, con tanta serietà organizzai un gruppo di coetanei, denominandolo "I lupi rossi".Il gruppo s'inquadrava e cantava inni socialisti sotto il muso dei ragazzi di tendenza fascista, del prefetto in particolare che, per essere il nipote di Pitotti, si atteggiava a fascista. Nel 1922, in novembre, entrai a lavorare alle Acciaierie e qui vissi l'atmosfera di resistenza al fascismo. Cinque ragazzi fummo assunti per i prodotti refrattari: Ozzuglia Ersesia, un al­tro di Collescipoli, Sgalla e Lombardini, solo quest'ultimo fasci­sta, gli altri tre di tendenza socialista. Durante gli anni 1925-1928, epoca in cui si costruì il canale per la centrale di Galleto, a Marmore c'erano circa duemila ope­rai, molti erano veneti e tra essi non pochi antifascisti fuggiti dai loro paesi per sfuggire alle rappresaglie e per poter lavorare. Avevo abbandonato le Acciaierie già nel 1923 di giugno, per avere contratto la sil[ic]osi, ed avevo intrapreso a fare il bar­biere, dopo un periodo di sei mesi di apprendista; dal mio negozio mai mi fu difficile conoscere molti di tali antifascisti. Lanzini Enzo fu quello che più di tutti parlò molto con me sul movimento socialista e i primi elementi li ho appresi da lui, il quale mi guidò anche alla lettura dei primi romanzi sociali: Il tallone di ferro, La madre, La fossa, La madama dei sette dolori. D'altra parte i primi due furono i libri indicatici per leggere dal compagno Filipponi, quando il 2. 8. 1931 organizzammo la cellula. Nel 1929 Lanzini ricevette da Torino, inviatigli da Amilcare Bier, i francobolli per il contributo alla lotta contro le op­pressioni della seconda guerra imperialistica. Ricordo che i francobolli erano dedicati alla giornata dello agosto, dichiara­ta, non so se dalla Terza Internazionale, [ ... ] giornata mondiale per la protesta contro la preparazione della guerra imperialisti­ca. Avere in mano tali francobolli dava un fremito di entusia­smo e una sicurezza che il Partito comunista viv[ev]a in Italia, era presente e manteneva viva la fiaccola. Li facemmo recapita­re a Ciani, che li portò ai compagni di Terni e spedimmo a Bier alcune decine di lire. In quel periodo Lanzini, che si era sposato a Marmore, non aveva lavoro, perciò era sempre nel mio negozio, anche Nanni Pitotti era disoccupato ed era stato destituito da segretario del fascio di Marmore, perciò si abbandonava volentieri a discutere con me sul fascismo e ne riconosceva le deficienze. La bottega di barbiere era piena di giovani disoccupati e tutto il giorno vi si svolgevano discussioni antifasciste. In quell'epoca a Marmore si organizzò il circolo Dopolavoro; io, Lanzini,Luigi De Angelis, Montesi Pietro e qualche altro, ci demmo da fare perché nel comitato direttivo entrasse qualcuno di noi, infatti ci riuscimmo, non solo, ma il primo gestore fu mio fratello Aristide, quattordicenne, poi Bordoni Terzo, ex comunista che conservava l'ideale, seppure non fosse attivo. Nel primo periodo nel Dopolavoro si faceva una vita democratica e il gruppo costituito da me, Lanzini, Gigi De Angelis e Montesi teneva vivo lo spirito antifascista. Spesso la sera, il pomeriggio di domenica ci ritrovavamo a giocare all'osteria di Pitotti: il solito gruppetto di antifascisti. Anzi per tale compagnia avevamo attirato su di noi la diffi­denza dei vecchi compagni di Marmore che, se pure inattivi, pretendevano di essere i soli ad avere il diritto di parlare a nome del PC [d']I. Il pomeriggio della domenica 30. 11. 1930, mentre all'osteria di Pitotti giocavamo a tressette col battifondo, si discuteva di politica, eravamo un po' allegri per qualche bicchiere di vino bevuto, Nanni giocava ed io che ero il battifondo, lo puncicavo su questioni politiche. Ad un certo punto della discussione gli dissi: "Ricordati questa data, 29. 11. 1930, forse un giorno potrò salvare la tua testa, ma ne hai fatte troppe, non mi sarà facile". Lui s'alzò di scatto, lasciò le carte sul tavolo e con la mano alza­ta con gesto minaccioso, di rimando: "Tu dici sul serio, alla prossima ondata di spedizioni punitive sarai sistemato". Certo che nello scherzo ambedue dicevamo la verità, poichè lui apparteneva alla famiglia che era stata "La macchina alimentatrice del fascio marmorese e delle sue malefatte", [co­me] diceva Odovardo Ireno Conti, ed io sentivo tanto odio per i fascisti e cercavo affannosamente la via per fare qualcosa di concreto contro di loro e vedevo davanti a me un avvenire di lotte e avevo un'immensa fiducia nella caduta del fascismo. Comunque la profezia e la minaccia si avverarono poichè nel 1934 i fascisti mi aggredirono nella mia abitazione (ormai ero reduce dal confino) e il 22 maggio 1944 Nanni venne a collo­quio con noi del comando della brigata partigiana Antonio Gramsci, nelle montagne di Buonacquisto. Il colloquio fu com­binato, perché ci risultava che lui era disposto a mettersi al nostro servizio, invece così non era, comunque il comando volle essere cavalleresco e non lo eliminò, lasciandolo Iibero di tornare a casa. lo facevo parte del comando e certamente pote­vo determinare la fine della sua esistenza, per questo dico che la mia profezia di tredici anni prima si era avverata.

Dopo la descrizione di alcuni episodi è bene tornare alla cel­lula del partito della quale ero stato nominato responsabile. Da quel giorno mi misi al lavoro con una certa serietà, poichè com­prendevo che ormai la responsabilità era tanta e le discussioni con Nanni potevano diventare pericolose, d'altra parte anche lui superato il risentimento contro il fascismo che lo aveva spo­destato da segretario e visto che io spingevo le discussioni tan­to a fondo che diventavano vere e proprie riunioni di propa­ganda, un giorno aveva dichiarato che non si poteva più discu­tere con me poichè ero un fanatico. Iniziai ad avere contatti con Pietro Ciani tramite mio cugino Olindo. Era considerato da tutti il comunista che non solo non aveva mai ammainato la bandiera, ma che continuava ad essere un comunista attivo. La popolazione di Marmore lo stimava, i fascisti erano costretti a stimarlo e combatterlo. Ricordo che una volta Nanni Pitotti disse: "E' vero Ciani è un uomo esemplare, un lavoratore che con i suoi sacrifici sta dando un' educazione e un'istruzione ai suoi cinqui figli, noi però dobbiamo combatter­lo perché è un sovversivo pericoloso. Parlare con Ciani, con quest'uomo rispettoso, temuto e com­battuto, era per me una grande soddisfazione. Ciani a Marmore non avvicinava nessuno al di fuori di qualche vecchio compa­gno, tra i quali i preferiti erano: Olindo Fossatelli, Carlo Cervel­li, Ascani Natale, perciò il fatto di ricevere la sua fiducia alla mia giovane età, mi incoraggiava a leggere, studiare qualcosa, apprendere da tutti e da tutto. A mano a mano che a Ciani aumentava la fiducia nei miei riguardi ci incontravamo più spesso e le nostre conversazioni duravano più a lungo. Iniziam­mo a fare delle lunghe passeggiate, spingendoci fino a Piedilu­co, ove incontravamo Raniero Salvati o Petacchiola e qualche altro compagno. Mentre da Lanzini apprendevo alcuni elementi della lotta operaia e socialista, da Olindo Fossatelli lo spirito combattivo e l'estremismo, da Ciani apprendevo l'educazione del comunista: puntualità, fermezza, costanza nel lavoro, discrezione, rispetto umano, segretezza. Debbo dire che con Ciani ho iniziato a for­mare il mio carattere di comunista. Ero ansioso di entrare a far parte del partito, ma Ciani mi diceva che bisognava fare un periodo di prova, di candidatura, intanto mi insegnava come fare proseliti, come indirizzare i lavoratori sui vari avvenimenti. Nel 1931 a Marmore serpeggiava un grave malcontento per la mancanza di acqua potabile che il podestà fascista faceva rifornire tramite botti di legno di sei ettolitri l'una installate su un vecchio autocarro BRL. Mi venne l'idea di organizzare una manifestazione di prote­sta, Ciani fu d'accordo e mi diede alcuni consigli. Iniziai a con­vincere alcuni vecchi compagni della necessita' di inviare a Terni le nostre donne, la voce - tramite Enzo Cresta e qualche altro - la propagammo tra gli operai del Carburo di Papigno, per far aderire Colle statte, Papigno, Campomicciolo, i quali si trovavano nelle stesse condizioni. Entro sei mesi riuscimmo a preparare la manifestaziane e nel mese di luglio, sotto il caldo canicolare, un centinaio di donne partirono da Marmore a piedi, in testa vi erano mia moglie, mia zia Italia (notabile), Ilde la moglie di Ezio e Michelina. A Papigno altre donne si aggiunsero, così anche a Campomicciolo; io e Remia Giuseppe, in bicicletta, facevamo da avanguardia. Verso le ore lO raggiungemmo piazza Solferino, allora non v' era il mercato poìchè era stato trasferito a piazza I° Maggio (21. 4). Qui le donne cominciarono a gridare: "Vogliamo l'ac­qua da bere". Una delegazione fu ricevuta dal podestà, un'altra dal federale fascista. Fecero [loro] delle promesse. lo e Remia fingevamo di essere degli spettatori, la polizia cercava di convincere le donne a ritornarsene a casa e noi le facevamo resistere, ad un certo punto un usciere del Comune venne ad attingere una bottiglia d'acqua ripiena, ciò servì a sol­levare nuovamente le grida delle donne che dicevano: "Vedi? al podestà l'acqua fresca non manca, cosa gliene importa dei nostri paesi?". Due giorni dopo, quando raccontai a Ciani come era andata, mi disse che quell'usciere era un compagno e l'acqua era venu­ta volutamente. Le donne, tornate a casa, concordarono di con­tinuare l'agitazione, rifiutandosi si attingere acqua dalle botti e predisposero picchetti nelle varie soste di distribuzione. Dopo qualche giorno, nella prima fermata, vicino a casa di Brambrilla, alcune donne (crumire) attinsero acqua, allora il picchetto, composto di donne abitanti sulla strada di Greccio, fecero volare delle broccate. I carabinieri arrestarono Ascani Nina e Sapora Irene di Alviano di Miranda, moglie di ... , in quel periodo abitante a Marmore. Dopo alcuni giorni che l'agitazione perdurava, una mattina, sul muro della casa [di] Conti Elio, apparvero delle scritte fatte col muro rosso con le quali si chiedeva l'acquedotto. Poi, in sor­dina, si seppe che le avevano scritte gli stessi fascisti, preoccu­pati del persistere dell'agitazione. L'agitazione ebbe l'effetto desiderato, poichè il podestà si mise in movimento per realizzare gli acquedotti nelle delegazioni che ne erano prive e nel 1934 Marmore, Papigno, Campomicciolo, Collestatte ebbero l'acquedotto. 

Il 28. lO. 1934 unitamente a mia moglie partecipai alle nozze di Luisa Carotti, nipote della mia consorte, e di Conti Alfiero. La sera, verso le 18,30, tornati a casa nostra, ambedue vicino al focolare, ad un tratto sentimmo i fascisti che nell' osteria di fronte, da Gigetto, cantavano: "All'armi siam fascisti, a morte i comunisti che non si son più visti per paura dei fascisti". Dico a mia moglie: "Gli voglio far vedere che i comunisti ci sono e che non hanno paura dei fascisti". Mi alzo, percorro i sei metri di corridoio e resto sulla soglia. Come se il segretario del fascio avesse sentito ciò che avevo detto a mia moglie, chiamò mio cugino Nello, che passava lì davanti, e gli parlottò piano. Seppi poi che gli ordinò di venire da me per dir[mi] di mettere fuori la bandiera tricolore. Nello proseguì la strada entrando due porte più in giù per comprare le sigarette, dal gruppo di fascisti si staccarono cinque o sei con Gualtiero in testa e, gri­dando, mi ordinarono di mettere fuori la bandiera. Viste le brutte intenzioni rientrai in casa, infilai nella manica un lungo coltello da cucina e tornai dove ero prima. I fascisti ad un metro da me urlarono: "Metti fuori la bandiera, sovversivo, bolscevi­co, traditore" e io di rimando: "Gualtiero, piuttosto di insultar­mi, pagami i tredici mesi di abbonamento, non dovevo farti i capelli gratis", dicevo questo per prenderlo dal lato più vulne­rabile, la morale, ma ciò non poteva far effetto su costui, che del fascismo profittava per i suoi fini personali. Li invitavo a venire avanti con tono minaccioso, Gettulio" urlava: "Porta il coltello, non vi avvicinate". Intanto a casa mia moglie, i miei due figli e mio padre si disperavano a sentire i fascisti gridare: "Incendiamogli la casa, ammazziamolo" . Nell'uscio io tenevo testa ai fascisti, d'un tratto mi s'infilò tra le gambe Elvezia, nipote di mia moglie e figlia di Antonio, il più perfido squadrista di Marmore, che nel 1931 tradì il partito comunista, passando nascostamente al fascio, notare che Anto­nio era tra il gruppo che stavo fronteggiando e il più faci­noroso, come sempre. Vado dietro [ad] Elvezia che stava salendo le scale, entro dopo di lei nella camera da letto e mia moglie - che piangeva dalla disperazione - prese dalle mani di Elvezia la bandiera per esporla dalla finestra che dava sulla strada ove i fascisti urla­vano. Mi lancio su mia moglie col coltello alzato, minacciando di ucciderla se avesse esposto la bandiera. Elvezia la ristrappa dalle mani di Evelina e corre verso la finestra, mi lancio su Elvezia, ma lei, svelta come un fulmine, aveva messo la bandie­ra fuori sulla finestra. Compresi che tirandola su potevano denunciarmi per oltraggio al vessillo nazionale e desistei. Mentre si svolgeva la lotta con i fascisti si erano radunate molte persone, parenti, amici e alcuni, in particolare delle mie cugine, urlavano contro i fascisti perché ci avessero lasciato in pace, infatti la bandiera era fuori e, per le proteste del pubblico, si allontanarono. Il segretario del fascio, Pistola Gualtiero, telefonò al mare­sciallo di Piediluco perché venisse ad arrestarmi. 


Il contributo concreto della sezione comunista di Marmore appena liberata

Istituzione della coop[erativa] di consumo. Squadra recupero materiale bellico e vendita di esso, con i fondi si affronteranno le prime spese per la sezione e si acqui­steranno la nostra bandiera e quella della sez[ione] socialista. Ristabilimento dell' erogazione dell' energia elettrica, smon­tando una cabina di trasformazione nei pressi di Valle Fava, allacciando l'alimentazione dell' energia nella cabina della diga (tutto d'iniziativa nostra). Un'auto recuperata servì per i trasporti più urgenti della popolazione, un'autocarro recuperato fu donato al Municipio con l'accordo che avrebbe costruito la conduttura per l'acqua potabile per gli abitanti dell'attuale via Faggetti Domenico. Costruzione della strada di Rancio. Costituzione di una scuola serale, per i ragazzi che dopo le elementari non potevano continuare gli studi. Insegnanti Francesco Cresta, Campili Ivano, disegno, e il marito della mae­stra? Sardieri? Costituzione della società di prestito che nella breve durata ebbe una sua funzione benefica (presidente per essere unitari, il DC Caranti che la fece morire per inedia). 

Dal Libro "La memoria come arma - scritti sul periodo clandestino e sulla Resistenza" di Bruno Zenoni, a cura di Renato Covino

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