lunedì 25 luglio 2011

Il nazista e la generazione di Utoya




Alto, biondo, aitante, un bianco doc, insomma, ideologicamente ariano, cioè convinto della superiorità della sua razza. Poi cristiano fondamentalista, intriso di fanatismo, cioè uno di quelli che fanno le crociate, ma non solo a parole, contro i diversi. E nazista, cioè seguace di quelli che si alimentano della peggiore ideologia prodotta dal  nostro continente, rinnovandola odiosamente alla luce delle trasformazioni globali del mondo. E per finire terrorista spietato, sanguinario killer di ragazzi e ragazze, epifania incarnata di tutti i  possibili, nuovi mali europei, che la crisi cova e alimenta.
Anders Behrin Breivik è questo e tutto il di più di orrori che possiamo aggiungere e che i suoi profili in rete mettono in mostra.


La mattanza di sangue che ha gettato nel lutto la Norvegia parla precisamente di  questo: dice che il cuore di tenebra della vecchia Europa fa di nuovo mostra di sé. Anche tra le miti, civili, tolleranti modalità di vita pubblica della Norvegia? Anche, come da tempo segnala chi conosce quei Paesi e fa i conti con la storia di antiche filiere di complicità dei Paesi nordici con la Germania di Hitler. E, d’altra parte, come chi da tempo ne parla liberamente, fuori dagli schemi rassicuranti della vulgata sull’”innocenza scandinava”, sull’essere cioè la Scandinavia esente dai mali della violenza e dell’intolleranza. Ne parla il noir nordico, per esempio, in particolare Mankell e Larsson, che nei loro libri – e Larsson, finché visse, nella sua attività di giornalista -  danno conto dei mutamenti radicali e spaesanti che hanno sconvolto  quei paesi e degli spostamenti verso posizioni di destra estrema di settori dell’opinione pubblica e delle nuove generazioni. Tutto questo nel contesto della caduta del muro di Berlino, la globalizzazione, i fenomeni di una migrazione dai quattro angoli del pianeta che spesso è vissuta come invasione, mentre la crisi economico-finanziaria, che nel frattempo  ha sconvolto il sistema mondo, morde le certezze dello stato sociale e alimento l’ostilità verso le politiche socialdemocratiche di accoglienza e integrazione dei migranti. Politiche anche là sempre più residuali, lo sappiamo bene, ma con qualche fedeltà all’idea di volgere le cose verso l’inclusione di chi viene da altri mondi anziché verso l’esclusione e i problemi che ne derivano. Vanamente, tant’è che Svezia e Danimarca già vanno a destra e la Norvegia resta socialdemocratica solo perché ha dalla sua il petrolio.
Ma il brodo di coltura, fatto di intolleranza, odio per il diverso, spesso accesa islamofobia, ha trovato anche in Norvegia il modo di scavare nicchie, alimentare  rigagnoli, ipotizzare azioni.
Il terrorista di Oslo, che è iscritto a un sito di nazisti svedesi e, stando a Face book, ama le armi automatiche, ha la passione per i videogiochi di guerra, il body building,  la caccia e la massoneria, insomma l’autore della strage di cui stiamo parlando forse ha agito da solo ma con qualche aiuto; forse si è proposto ad altri, sotto specie di kamikaze, per mettere a segno un progetto collettivo di morte; forse invece ha elaborato e realizzato davvero tutto da solo, come un Rambo allucinato. Se ne saprà qualcosa di più preciso nei prossimi giorni. Forse.
Nel frattempo però alcune cose possono essere dette senza tema di sbagliarsi. Behring Breivik ha agito secondo una linea di odio politico e di senso delle cose che più chiara non potrebbe essere . Ha attaccato come in una azione di guerra – con l’aggravante della viltà più bieca -  un campo di giovani laburisti. Non giovani ma giovani laburisti. Non giovani radunati in un campo sportivo ma giovani a convegno in un campeggio politico. Insomma un rilevante settore della futura generazione politica del Paese messa a morte per via di strage. Il killer ha dunque selezionato secondo precisi criteri le vittime del suo odio. Non è uno sparatore solitario che si muove sull’onda di insondabili meccanismi della psiche. Ha scelto di colpire giovani che incarnano un’idea completamente diversa dalla sua, proprio sulle ragioni per cui lui è quello che è. E il centro politico devastato a Oslo è quello di una città, di un Paese, dove la socialdemocrazia – il Partito del Lavoro del premier Stoltenberg -  tiene e governa. A differenza di quanto accade in Svezia e in Danimarca. L’assassinio di Olaf Palme, avvenuto il 28 febbraio del 1986 – esecuzione a freddo di un premier senza scorta all’uscita da un cinema di Stoccolma – costituì un vero e proprio trauma della nazione, da cui la Svezia non uscì facilmente – e forse ancora dura – e che erose le basi del largo consenso di cui godeva la socialdemocrazia in quel Paese. C’è una precisa strategia politico-militare nell’azione di  Behring Breivik? Di un paramilitare che risponde solo a se stesso o di chi?
Lo shock della strage di Utoya e dell’attentato al cuore del Paese per la Norvegia  sarà terribile e durerà nel tempo.
C’è da aspettarsi di tutto, quanto all’ uso che se ne potrà fare per cambiare anche gli orientamenti di quel Paese.
Un’altra cosa possiamo dire con sicurezza su quello che è accaduto. Riguarda i fondamentalismi. C’è quello jadista, di al Qaeda e affini. E c’è quello ariano, che parla di noi, variamente colorato di camuffamenti religiosi e di finalità politiche. Come l’altro e gli altri che si nascondono negli anfratti del mondo.
Perchè l’umana domanda di Dio viene così stravolta? Non è un problema assillante per chi crede?
La tentazione dei media da noi è stata non solo di attribuire istantaneamente la tragedia di Oslo a al Qaeda – sull’istante si può anche capire – ma di insistere sulla possibile pista islamista anche quando da Oslo veniva definitivamente fornita la versione relativa alla razza bianca doc dello stragista.
Anche questo ottundimento delle menti, del cuore e della penna fa parte del problema.
Elettra Deiana - dal sito di SEL nazionale

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