venerdì 17 giugno 2011

Vendola: “Così vince la sinistra”


Le amministrative e i referendum hanno parlato chiaro: primarie sempre, dialogo con tutti, consultazioni dalla base per decidere il programma. E basta negoziati tra i leader nei corridoi. Parla il leader di Sinistra Ecologia e Libertà.
Quando l’antropologia politica studierà miracoli e colpi di scena – le amministrative, i referendum – al tempo del berlusconismo ma al di fuori da esso, Nichi Vendola, leader di Sel, governatore di Puglia per ben due volte fuori ortodossia, vate delle primarie sempre, sarà al primo posto. Dopo di lui, Giuliano Pisapia sindaco – stesse radici – e il botto referendario. Vittorie sulle quali Nichi ha molto puntato e si è molto speso, a volte nel timore di tanti. “Potere al popolo”, per lui è più che mai vero, nel senso di consultarlo, per andare oltre il vecchio modello di partito. Vendola parla di questo, del programma del centrosinistra da dare in outsourcing, dei rapporti con Bersani e Di Pietro, della possibile interlocuzione con Pier Ferdinando Casini.

Il successo delle amministrative. I referendum ben oltre il quorum. Improvvisamente, in Italia, la svolta.

“Bisogna considerare lo scenario globale e guardare con molta attenzione le novità dei segni che dalla piazza Puerta del Sol alla piazza Tahrir raccontano un network planetario, una rete della libertà e un linguaggio che declina l’alfabeto dei diritti, l’espressione dell’indignazione. E’ la fine di un’epoca e di un’egemonia della destra che ha cucito insieme integrazione economica e disintegrazione socio-culturale usando un vocabolario cinico e maschilista, mercantile e predatorio che va dalla saga dei petrolieri texani a quella di Arcore con Apicella. Questo per ricordare in che mondo è capitato quello che è capitato in Italia”.
Bene. Allora cosa ha determinato la svolta?
“Non il centrosinistra. Non i partiti. Ma i tanti movimenti che hanno lavorato alla semina, dissodato una terra molto pietrosa e inquinata dal berlusconismo”.
Quali?
“In primis le donne che a febbraio, manifestando, hanno messo a fuoco la natura del berlusconismo: non una malattia ma una fisiologia, in qualche modo, l’autobiografia della nazione. I giovani, quelli dello slogan del “futuro è adesso”, assillati da una gigantesca crisi sociale, dall’urgenza della precarietà del lavoro, della dequalificazione degli apparati formativi. Fiom e Cgil. I piccoli comitati territoriali, migliaia, l’associazionismo, il volontariato, la mobilitazione frontale del mondo cattolico. E l’impegno di due grandi cattedre: quella di papa Ratzinger e quella del papa laico, Mario Draghi. Ambedue hanno colto nella precarietà un dato di crisi globale della nostra società. Il mondo mette in movimento tanti mondi. Tanti mondi mettono in movimento il mondo”.
Un patrimonio. Come capitalizzarlo?
“Un centrosinistra che lascia alle spalle l’immobilismo e la conservazione, è un centrosinistra che torna a vincere. Attenzione: torna a vincere perché è sospinto da un formidabile processo di critica verso le oligarchie. Vince perché ha vinto l’ingerenza democratica. Abbiamo assistito a una bella lezione sul modo di dirimere le controversie più incandescenti, no? Se avessimo convocato gli stati maggiori del centrosinistra per assumere una linea comune sull’acqua bene comune, non ci saremmo mai riusciti. Come abbiamo risolto, allora? Con la democrazia, con la partecipazione e la discussione collettiva. Sono stati i referendum a riscrivere un pezzo del programma del centrosinistra”.
Ultimamente, lei ha prefigurato la nascita di un unico partito con Pd e Sel.
“Sarebbe un errore riprendere l’ordinario cammino dei partiti. Considero i partiti necessari ma non esaustivi, inadeguati per certi versi a rappresentare le domande di cambiamento. Su ciascun problema, continuiamo ad esibire le nostre magliette: io sono un radicale, tu sei un riformista, quello è un antagonista e tu sei un moderato. Vale solo il posizionamento simbolico. Ma poi la discussione come la facciamo? Mettiamola così: è cambiato il mondo. Lo so è una dichiarazione apodittica. Ma oggi il mio radicalismo consiste davvero soltanto nella considerazione che è finito il Novecento, a Fukushima, al Cairo, a Tripoli. Risolvere i problemi di oggi con gli occhiali di ieri, rischia di farci parlare con codici diventati arcaici. ”
Belle parole, molti concetti, ma nella pratica? C’è un modello, un esempio concreto?
“Io dico: apriamo il cantiere dell’alternativa di un nuovo centrosinistra. Le ultime esperienze ci devono aver insegnato cosa non si fa, per esempio la mediazione al ribasso costruendo un programma cartaceo in cui il negoziato ha riguardato l’aggettivo, il sostantivo…”.
Si riferisce all’Ulivo, all’Unione?
“Non si può replicare l’idea di un’armata Brancaleone per una partita elettorale e la prospettiva di gestire del potere. Forse non si è capito: noi siamo chiamati tutti quanti a salvare l’Italia, e cambiarla. Dobbiamo farlo con il popolo dei referendum, molto più coraggio e meno patemi. Pesiamo le percentuali della speranza invece di guardare alle percentuali di partito”.
Ripeto, nella pratica?
“Va bene. Entriamoci. E prendiamo Milano: poteva mai esserci un risultato più improbabile? Ha vinto il candidato più radicale dato perdente. Che costruisce una compagine di governo in cui fa tutte le operazioni di cui c’è bisogno. Operazione numero uno: parità di genere, non quote rosa, ma in giunta metà donne e metà uomini, come ho fatto anch’io in Puglia. Due: sceta di personalità di aree politico-culturali che hanno competenze e rappresentano mondi vitali, penso alla sua vice sindaca Maria Grazia Guida e al suo rapporto strettissimo con la storia del cattolicesimo ambrosiano. Tre: Bruno Tabacci. Seleziona nell’area moderata una competenza di assoluto rilievo e universalmente stimata. Pisapia non solo non tradisce nessuna delle speranze anche le più radicali, ma dimostra una capacità di allargamento di tutti i soggetti coinvolti. Questa è la mia ossessione, interloquire con tutti andando al merito delle cose”.
Anche con i moderati?
“Nella possibile interlocuzione con Pier Ferdinando Casini non si può immaginare che il presupposto sia cancellare la questione dei diritti civili, delle istanze di libertà che stanno maturando nella cuore della società. Significa che si vuole imporre qualcosa? No, ma che si vuole discutere della vita delle persone. Dobbiamo avere il coraggio di trovare un punto avanzato di programma riformatore, lavorare a una rivoluzione riformista, al centro la lotta alla precarietà, il diritto al lavoro e al reddito, la giustizia sociale, la guerra all’evasione fiscale… Il tutto non al chiuso ma all’aperto”.
Primarie anche per le scelte di fondo? La linea in outsourcing, com’è stato per la privatizzazione dell’acqua o per il nucleare?
“Perché non costruire un grande spazio pubblico sulle idee, sulle scelte programmatiche? In tanti Comuni il programma è stato creato con forum e discussioni corali e popolari, non è stato sequestrato nell’autoreferenzialità del ceto politico, non assoggettato a oligarchie”.
Un unico partito con Pd e Sel uniti. Esternalizzare il programma politico a una grande discussione pubblica. Bersani o Di Pietro sono su questa linea?
“Capovolgiamo la prospettiva. Con tutta la simpatia, pongo questi quesiti a Bersani e a Di Pietro. Le primarie ci hanno fatto bene o ci hanno fatto male? I referendum ci hanno fatto bene o male? Hanno fatto bene al centrosinistra. Alla democrazia. All’Italia. Lì c’è il deposito dei segreti per tornare a vincere. Siamo condannati a vincere. Dobbiamo vincere per forza. Ma se lo facciamo perché siamo rampanti e desiderosi di potere, non scalderemo il cuore di nessuno. Ricorda il cartello sul Nichi express, il treno organizzato dai giovani per le elezioni? C’era scritto: “Torno per votare? No, voto per tornare”. Quei ragazzi avevano riacciuffato la speranza, l’elemento fondamentale”.
Mi spieghi un arcano: Di Pietro ha commentato che non bisogna strumentalizzare il risultato dei referendum e chiedere le dimissioni di Berlusconi. Cos’è successo?
“Quando noi politici diventiamo strateghi della tattica, a volte produciamo formulazioni paradossali. E’ chiaro che il referendum non è stato pro o contro Berlusconi, ma pro o contro il berlusconismo. Di Pietro sostiene questo per un problema di posizionamento tattico, e lo dico con molto affetto. Certo che bisogna andare a votare. E l’esito del referendum è il secondo, se non il terzo, avviso di sfratto al governo”.
Bersani si è vendolizzato, invece.
“Non posso che essere felice se il Pd si sposta a sinistra. Va bene anche se questa rischia di essere una formulazione politicistica. Ma io non sono un uomo in carriera, tutti sanno che parlo con sincerità. Non lotto per riaprire un partito, ma per riaprire una partita”.
Ha citato Pisapia, ma non una parola su Luigi De Magistris. Perché non lo avete appoggiato?
“Per un elemento di onestà intellettuale e per un errore. Equiparare Bassolino a Cosentino era inaccettabile. Ma era troppo facile autoliberarsi di qualunque complesso di colpa appoggiando De Magistris. Poi ero un po’ risentito, avrei gradito che si fosse candidato alle primarie, lo avremmo sostenuto senza esitazione. Detto questo, abbiamo fatto un errore di valutazione politica”.
Bersani premier e Vendola leader del partito, potrebbe funzionare?
“E’ una domanda per chi pensa che la politica sia come un meccano, come i giochi della Lego. Siamo tutti indispensabili se ci mettiamo a disposizione della costruzione di un cantiere molto più largo di noi plurale, popolare, innovativo. Penso che la costruzione della proposta, del programma e dell’indicazione dei leader sia una proprietà pubblica, un bene comune da affidare alla saggezza del popolo”.
Proprio come l’acqua?
“Proprio come l’acqua”.


da: l’espresso - 
Denise Pardo

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