domenica 19 luglio 2009
Ricordando Paolo Borsellino
“Non abbiamo alcun bisogno di una memoria da cerimonia, vuota e ipocrita, abituata a celebrare la morte senza mai affrontarne le ragioni”. Sono le parole di Claudio Fava nella diciassettesima ricorrenza della strage di Via D’Amelio.
di Claudio Fava
Cos’è stata via D’Amelio: un’ammazzatina mafiosa? Un incidente di percorso? Una strage di Stato? Sono passati diciassette (diciassette!) anni e siamo ancora alle domande di principio: movente e mandanti. E adesso salta fuori, se mai salterà davvero fuori, il “papello” che Totò Riina avrebbe consegnato per i buoni uffici di Ciancimino al governo: le sue condizioni per concedere una tregua, revisione dei processi, abolizione del 41 bis, una nuova legge su quegli infami dei pentiti…
Noi non sappiamo chi fu e perché. Ma sappiamo, come tutti gli italiani forniti di memoria storica e decenza intellettuale, che Paolo Borsellino non è stato solo vittima di Cosa Nostra. Che sulla sua morte s’è giocata una partita più impegnativa e più scabrosa che coinvolge anche pezzi delle istituzioni italiane. Complottismo? Paranoie? Non credo. Siamo figli d’un paese che ha trascinato con sé per mezzo secolo il fardello di troppe colpe senza colpevoli (portella della Ginestra, piazza Fontana, piazza della Loggia, l’Italicus, Moro…). Cucire insieme i lacerti di questa storia dimenticando le zone d’ombra, le deviazioni, i depistaggi, gli opportunismi non è opera di verità: è rimozione.
Su Cosa Nostra la rimozione è in corso da molti anni. Verrebbe quasi da dire che la mafia non esiste più. Esistono i ladri di passo, i rumeni, gli zingari, gli stupratori seriali, i malandrini napoletani, i disoccupati organizzati, i no global e i tifosi incazzati. Mafiosi, no. Nemmeno i loro amici. Uno che s’era fatto prestare un po’ di voti dalla cosca della sua città pagandoli un tanto al chilo lo abbiamo appena eletto e mandato a rappresentarci a Strasburgo. Un altro paio, accompagnati per mano nella loro avventura politica dai galantuomini della camorra (altra parola estinta), li abbiamo spediti al governo di questo paese. E adesso ci si chiede di ricordare in punta di piedi la morte di un giudice e di cinque agenti della sua scorta senza far troppo baccano, senza avventurarci in domande scortesi, senza chiederci chi fu e perché.
Ecco: è di questa memoria che non abbiamo alcun bisogno. Di una memoria da cerimonia, vuota e ipocrita, fasciata negli abiti della festa, abituata a celebrare la morte senza mai affrontarne le ragioni. Paolo Borsellino e chi fu ucciso con lui in via D’Amelio oggi meritano più d’un minuto di silenzio. Meritano l’irriverenza di molte domande ancora senza risposta.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento