da "Il Manifesto" 8 aprile
La doppia violenza del «voto utile»
Intervista a Maria Luisa Boccia, candidata alla camera per La Sinistra-L'Arcobaleno. La posta in gioco di una campagna elettorale rarefatta: l'assetto del sistema politico, l'idea di democrazia, il senso della politica
Ida Dominijanni
E' stata una strana campagna elettorale. Toni bassi e argomenti felpati, fino alla noia. Come se non ci fosse posta in gioco, o se tutti i contrasti fossero componibili con un po' di buona volontà...Per te che stavolta corri per la Camera, è la terza campagna elettorale, dopo quella del '94 nei Progressisti, e quella del 2006 come indipendente nel Prc-Se che ti ha eletto al Senato. Come la stai vivendo?
Più che noiosa, la definirei inafferrabile. La fai sul territorio, ma hai l'impressione che non abbia presa. Nel '94 - le prime elezioni con l'uninominale - il territorio era tutto, e dentro c'era tutto: partiti, società, gli stessi media. Stavolta il rapporto col territorio è come vanificato: la scena è tutta occupata dal confronto d'immagine fra i due protagonisti principali, Veltroni e Berlusconi. D'altra parte, sai che invece è una campagna elettorale cruciale. La posta in gioco è molto alta, e non riguarda solo il governo, ma la ridefinizione del sistema politico, il profilo dei partiti, la concezione della democrazia e della politica. C'è in ballo la ricostruzione dei partiti - tutti: Sinistra Arcobaleno, Pd, Pdl, Destra, Rosa per l'Italia, Udc - nati sulle ceneri del bipolarismo. C'è in ballo la consistenza, il significato, il ruolo della sinistra politica, e il suo rapporto con un partito che ormai si autodefinisce di centro come il Pd. C'è in ballo la concezione della democrazia: sotto la litania del «voto utile» c'è l'idea che il parlamento e la rappresentanza sono inutili. C'è in ballo la divisione sempre più visibile fra modi diversi e sempre più divaricati di intendere la politica e di affrontare la crisi della politica. E non ultimo, c'è in ballo il modo in cui questa trasformazione ridisegnerà il rapporto fra il sistema politico nazionale, le istituzioni locali e le reti territoriali.
Per la Sinistra è una campagna elettorale in salita, fra il ricatto del «voto utile» e l'astensione, che stavolta meno di altre è riducibile a disaffezione o rigetto antipolitico, ma si presenta almeno in parte con motivazioni politiche consistenti.
La campagna per il «voto utile» non è solo ricattatoria: è violenta. Primo, perché punta direttamente alla cancellazione della sinistra: la Sinistra non deve più esistere, deve svanire nella mutazione antropologica decisa e attuata dal Pd - una vera e propria resa dei conti a vent'anni dall'89, con tutto o quasi il sistema del media al suo servizio. Secondo, perché mentre si presenta come l'unica scelta possibile contro Berlusconi, in realtà lo legittima come unico interlocutore della riforma costituzionale, se non del governo. Quando Anna Finocchiaro dice «votate o per il Pd o per Berlusconi», fa esattamente questo. Altro che pragmatismo dell'utilità, qui c'è una posizione strategica condivisa fra Pd e Pdl.
Ciò detto, «voto utile» e astensione agiscono a tenaglia e finiscono con l'avere lo stesso bersaglio: la delegittimazione di una sinistra politica con funzioni di rappresentanza. Insomma: o sei funzionale al governo, e voti Pd; oppure sei contro e stai nel sociale, nel luogo materiale del rapporto e del conflitto sociale, perché avere un ruolo nel sistema politico non ha senso. Questa tenaglia va smontata. Io penso che questa storia del «voto utile» sia una torsione decisiva verso una concezione della politica che si riassume in tre parole: un voto, una delega, un leader. E penso che questa semplificazione della politica non faccia affatto spazio all'espansione delle pratiche politiche nel sociale (della «politica prima», per dirla nel lessico femminista): al contrario, le si ritorce contro, perché le istituzioni rappresentative restano comunque sedi di decisione e di legittimazione. Nella riduzione e nell'alterazione della democrazia non c'è niente da guadagnare dal punto di vista di un'altra politica - e infatti a me pare che al degrado attuale della politica «ufficiale» faccia riscontro non una maggiore autonomia, ma una maggiore frammentazione della politica dei movimenti.
Però non sempre a un vuoto da una parte corrisponde subito un pieno dall'altra...i vuoti sono vuoti. E lo svuotamento della politica «ufficiale» può essere necessario per aprire uno spazio di ripensamento radicale della politica. O no?
Non la vedo così, perché lo svuotamento non comincia ora, è andato di pari passo con la transizione italiana. Dunque i tempi sono già maturi per un bilancio di quello che lo svuotamento produce. In più, io ho sempre pensato che la politica «sorgiva» debba attraversare tutta intera la verticalità della politica, dunque anche la dimensione della rappresentanza. Lo penso anche per la politica della differenza sessuale. Naturalmente, reinventando i nessi fra materiale, simbolico, immaginario, e fra auto-rappresentazione e rappresentanza.
La costruzione della Sinistra-L'Arcobaleno non procede speditamente. In questi due anni, con altre hai provato a far interagire una pratica femminista con il lavoro parlamentare e con la costruzione del nuovo partito. Che bilancio fai di questa esperienza?
Il processo di costruzione del nuovo soggetto politico della sinistra è partito e non credo sia reversibile, quale che sia il risultato elettorale. Certo, ci sono difficoltà e inadeguatezze: non sul piano del programma, ma su quello - decisivo per la mobilitazione - della ricostruzione del profilo politico, dell'identità, del senso. Nel rapporto con l'elettorato femminile, più esigente in fatto di linguaggio e rappresentazione, questa inadeguatezza risalta di più. Risalta anche un limite del percorso femminista che abbiamo fatto fin qui nella Sinistra e in parlamento: il conflitto con la politica maschile richiederebbe forme di espressione più mature, più alte, meno rivendicative e più autorevoli. In un libro del coordinamento delle parlamentari del Prc-Se appena pubblicato, La differenza in gioco in un gioco troppo breve, diamo conto di questi due anni brevi ma densi, fra guadagni e scacchi, luci e ombre, esponendoci al giudizio e al contributo di altre. Quello che io penso è che ci manchi una messa a fuoco lucida dello stato del femminismo oggi. In quest'ultimo anno la geografia del femminismo è cambiata, fra manifestazioni, neo-separatismo, politiche dell'identità: su tutto questo c'è stato incontro e scontro fra anime e generazioni diverse del movimento, ma poca analisi. Personalmente ne patisco: sento che in questa campagna elettorale mi manca la forza che altre volte mi è venuta dalla lettura della società femminile, che illumina sempre la lettura della società nel suo insieme.
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